Il poeta di Bruno Lauzi

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MrVecchiofan
view post Posted on 4/8/2012, 15:28 by: MrVecchiofan




Non c’è dubbio che, nonostante ciò che se ne sia pensato in seguito nella “vulgata” collettiva, questo brano di Lauzi, proprio perché risale al 1963, non si riferisce in alcun modo a Tenco: semmai, potrebbe essere stato ispirato dal tentato suicidio di Paoli, risalente proprio a quell’anno e che fu motivato, almeno in parte, dalla rottura della sua relazione con la Sandrelli. Se non altro però, questo brano dimostra che i “genovesi” avevano tutti una certa confidenza con l’idea del suicidio e che, magari, ne discutevano spesso tra loro ai tempi dei “quattro amici al bar”: ma non bisogna sottovalutare il fatto, negli anni ’60, il suicidio balzò sulle cronache e fece opinione attraverso i casi, ultranoti e tutt’ora discussi, di Hemingway (1961) e di Marilyn Monroe (1962, di cui ricorre il cinquantenario proprio in questi giorni), senza contare gli esempi di autodistruttività, anche col significato di contestazione del mondo degli adulti, come quelli di Gioventù bruciata e dello stesso James Dean, ecc.
Tornando a Il poeta di Lauzi, in ogni caso, fermi restando la finezza sia del testo che della musica, va detto però che vi si riflette un’immagine piuttosto convenzionale della figura del suicida per amore, che farà anche il “duro” e il “ras del quartiere” tra maschi, ma che cede all’insostenibilità dei propri sentimenti, proprio perché, da macho, non può accettare questa sua vulnerabilità e “debolezza”. Parlo di immagine convenzionale del suicida per amore anche perché Lauzi sembra che ripeschi nei suoi ricordi di scuola, riandando con la memoria all’idea (erronea) che si era fatta (e che hanno fatto fare, ahimé, a tutti noi!) del giovane Werther e di Jacopo Ortis, che erano tutt’altro che dei “semplici” suicidi per amore, secondo alcuni dei luoghi comuni più diffusi (e, ahimé, più duri a morire!) sui giovani eroi del Romanticismo. Ritorno su questo punto anche per completare quanto stavo accennando altrove a propositi degli eroi letterari veramente depressi: sia Werther che Jacopo Ortis non lo erano, non in senso tecnico almeno. Per contro, sia a scuola che nel nostro immaginario, si è sempre sottovalutato il fatto che, in realtà, entrambi fossero dei “contestatori” ante-litteram, dei veri e propri pre-sessantottini, che esprimevano la ribellione e il disagio delle generazioni giovanili all’epoca della prima Rivoluzione industriale: la ribellione e il disagio di chi, vivendo di ideali, di sogni e di passioni (tipici dell’età), si scontra col dominio dell’utile, della mediocre accumulazione del denaro e, più in generale, con l’affermarsi della ragion mercenaria. Tutto ciò si coglie in maniera ancor più evidente in un altro dei grandi eroi romantici, suicidatosi giovanissimo (a 18 anni), ma purtroppo meno noto degli eroi di Goethe e di Foscolo: Chatterton di de Vigny. Naturalmente, l’“amore impossibile” in cui incorrono tutti e tre ha un suo peso nel precipitare gli eventi e nell’indurli alla decisione di farla finita: ma non è affatto un caso che i loro antagonisti e rivali in amore (i rispettivi promessi sposi per Werther e Ortis, il marito per Chatterton) fossero appunto dei prosaici uomini d’affari o dei meschini imprenditori, dei “borghesi”, che rappresentavano i nuovi valori “vincenti” e la ragion mercenaria, propri della prima Rivoluzione industriale. Rileggere per credere: ne vale davvero la pena e, sopratutto, evidenzia quante stronzate e stupide pedanterie ci insegnassero a scuola!
Tutto questo anche per dire che, se Tenco si è davvero suicidato (come stiamo cercando di ricostruire nel caso Tenco), la sua morte, anche per le affinità d’età, assomiglia certo più a quella di questi eroi romantici che a quelle di Pavese o di Hemingway, di Sylvia Plath o di Anne Sexton (a cui Peter Gabriel dedicò, in So, il bellissimo brano Mercy Street) e di tanti altri artisti, incappati nella depressione vera.
 
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3 replies since 25/4/2012, 11:11   2427 views
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